110. Di notte a Hankou.

L’altra sera Tony mi ha portato a fare un giro per smaltire il tagliere di affettati e formaggi che ci eravamo messi in corpo, a seguito di una cena nell’unico ristorante italiano di Wuhan a cui mi faccio accompagnare periodicamente da lui in quanto unico locale in grado di apprezzare la cucina mediterranea. Siccome Tony, oltre a capire meglio degli altri i miei gusti culinari, ha anche capito nel tempo che cosa ho bisogno di vedere per sopravvivere in un posto come questo, ha puntato la macchina fuori delle strade principali solite e si é infilato negli isolati piú vecchi di Wuhan, fra strade sconnesse e edifici polverosi. Siano finiti in un quartiere desolato del distretto di Hankou, dalle strade strette adorne di alberature spoglie e facciate scrostate e mal illuminate.

Ho riconosciuto senza troppa difficoltá, in quell’isolato che avrá contato sí e no venti edifici, la vecchia “Concessione Francese” di Hankou , di cui avevo visto un paio di foto online tempo addietro ma che non ero mai riuscito a rintracciare. Uno dei fabbricati aveva un frontone sgangherato con la scritta 1924. Anche gli altri edifici avevano le fattezze di case coloniali a tre o quattro piani con le caratteristiche tipiche dell’architettura occidentale degli anni Venti, sebbene l’aggregazione fosse in qualche modo un richiamo agli Hutong, con piccole strade pedonali interne su cui si affacciavano spazi comuni. Chiunque a prima vista sarebbe rimontato in macchina e ripartito di corsa, specie trovandosi lí a mezzanotte: la maggior parte dei fabbricati erano devastati e a quanto riferiva Tony dentro ci abitano attualmente solo i cinesi piú poveri che non possono permettersi una casa negli grattacieli dei quartieri di nuova costruzione. Io, ovviamente, mi stavo giá perdendo a naso all’insú in mezzo a quel quartiere a cercare di trovarne i punti di valore: le strade belle e proporzionate all’altezza delle facciate, le decorazioni sbertucciate, vasi di fiori ovunque, ai davanzali delle finestre o sul lastrico all’ingresso, come a rivendicare una vanitá da esibire anche nella condizione di povertá e di squallore piú estremi. Nel mezzo di questo isolato l’unica (che io sappia) chiesa cattolica di Wuhan, con una facciata in stile finto-gotico, piccola e malconcia: la signora che stava tirando a mano i noodles in una bottega ancora aperta accanto alla chiesa, che aveva l’aspetto di tutte le altre botteghe di strada se non fosse stato per la gigantografia a colori di Gesú sulla parete di fondo, ci ha detto che per vederla all’interno tocca svegliarsi presto perché apre tutte le mattine solo dalle sei alle sette.

Non so.
Quell’isolato di venti case divelte mi è sembrato il piccolo cuore ancora pulsante di un mostro di cemento senza anima.
Tony, ovviamente, l’ha capito guardandomi in faccia senza che io abbia detto una parola.

hankou

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