Siamo ormai nel pieno del mio quinto mese in Cina e va tutto molto bene.
Benone.
Benissimo.
Va tutto talmente bene che l’altro giorno alla vista della foto della classica accoppiata bicchiere di vino e lampredotto nelle stoviglie di plastica, scattata da un amico dal trippaio a Firenze e pubblicata su facebook, ho rischiato il tracollo, e mi sono ritrovato rannicchiato sotto l’acqua bollente della doccia, col lo sguardo fisso nel vuoto e dondolando ripetutamente.
No no, ma va bene.
Benone.
Benissimo.
A parte gli scherzi, come ho detto tante volte, mi piace stare qui e mi sto godendo questa nuova dimensione forte del fatto che sono certo che é la cosa da fare, il posto in cui stare, l’occasione da cogliere. E mi piace condividere questa giostra in cui sono capitato, che genera attrazione e repulsione allo stesso tempo, ma che soprattutto ti obbliga a uscire dalla tua zona di comfort e chiederti “Di cosa hai davvero bisogno? Che cosa vuoi fare?” con una radicalitá mai sperimentata prima. Il punto di vista umano di tutta questa vicenda é anche piú interessante di quello professionale, ma di fatto una cosa fa da spalla all’altra: se da un lato mi ero riproposto, una volta arrivato qui, che non avrei lasciato un minimo spazio alla consuetudine, non avrei fatto una sola cosa di quello che facevo prima solo perché la “facevo prima”, e avrei fatto solo quello di cui davvero avrei sentito l’esigenza, sul piano del lavoro, come ho detto e ripetuto, ho messo via tutto il mio “le cose le ho sempre fatte in un certo modo” e mi sono calato in questa nuova veste, a cui mi dedico con abnegazione fino alla cura del minimo dettaglio (ne avevo parlato QUI).
Il risultato é che la giornata é un po’ diventata, nel bene e nel male, il terreno di gioco per tante cose che prima non avrei mai nemmeno immaginato di fare (sperimentando l’eccitazione per la novitá ma anche la noia piú nera), e ho scoperto che in questo una sana dose di leggerezza, quella che ho sepre considerato il mio “weak-point da quasi quarantenne affetto dalla sindrome di Peter Pan”, in realtá é una risorsa enorme.
Inestimabile.
Se peró qualcuno ha pensato che fosse facile, stare e lavorare qui, sgomberiamo subito il campo: non c’é nulla di immediato, in tutto questo. Nulla. Dall’andare a comperare il pane per i toast e riportare a casa per la terza volta consecutiva un pane cinese stucchevole e appiccicoso, al cercare di farsi dare indietro i soldi dall’assicurazione medica anche se sui moduli compilati dalla clinica non hai idea di che diodiddío ci sia scritto sopra, al convincere collaboratori e operai che no, quel campione non va bene, perché loro l’hanno sempre visto fatto cosí e nessuno si é posto il problema che le cose possano essere fatte in un altra maniera.
Forse é proprio questo: l’essere in qualche modo sempre in una posizione “scomoda”, in un contesto che, anche se non puoi di certo definirlo ostile, comunque ti permette raramente di essere completamente a tua agio. E l’esserci piombato da solo. Sará per questo che, in genere, quando mi capita di sentire di piú la mancanza di “casa” é perché mi ritornano in mente situazioni che mi hanno sempre permesso, piú di altre, di riprendere fiato: la tavolata di gente e poi la lavasoviglie in sottofondo quando la casa si é svuotata, la colazione estemporanea al bar sotto l’ufficio con l’amico che ti chiama perché “passava di lí”, la corsa sul lungofiume di mattina presto, il raggio di sole che sbatte sul divano dei tuoi quando vai a trovarli nel weekend o, perché no, un panino col lampredotto e il bicchiere di vino, mangiati per strada in una risicata pausa pranzo.
Immagino di apparire patetico (mamma che due coglioni Martí, anche meno…), ma il punto interessante é proprio questo: ti mancano le persone – e questo é ovvio – ma ti manca quello che ti ha sempre fatto prendere fiato.
La conseguenza di questo é fondamentalmente semplice: quello che ti fa riprendere fiato devi trovarlo. E devi trovarlo qui.
E quindi le cose le devi provare, le devi fare, e ne devi fare esperienza e tesoro, senza sedersi mai.
Non basta sapere che a casa é pieno di gente che ti vuole bene, che ti segue, ti aspetta, ti cerca, e da cui puoi tornare quando vuoi: loro ci saranno comunque ed é bene dare loro spazio, ma vivere la circostanza come una parentesi, come qualcosa da cui prima o poi tornerai indietro é inutile. Anche se tu dovessi stare qui per solo pochi mesi, per quanto starai qui, dev’essere chiaro che é da qui che parte tutto quello che farai e diventerai in futuro.
Questo é quello che sto provando a fare, lampredotto permettendo: pensare che la mia casa é davvero questa, che io qui ci vivo e che devo diventare bravissimo a muovermici dentro: da un certo punto di vista… diventare “piú cinese dei cinesi”.
Magari, se possibile, vestito un pohinino meglio.
se cominci a vestirti come i cinesi non tornare, non potremmo sopportarlo
Piú “VERCASE IEANS” per tutti!
Mitico MArty. Confesso è la prima volta che leggo qualcosa del tuo blog. Mi sa che mi sono letto la cosa più pallosa. Però bella e la condiviso appieno. Niente come il rumore della lavastoviglie a casa…. Ciaoooo a presto e vestiti a modino please!
Ciao Martino! ti ho scritto poco fa su snapchat implorando il tuo aiuto per riuscire a sopravvivere in Cina all alone.
Sarà che sono appena arrivata, sarà che sono una ventiquattrenne ben poco ottimista ma questi primi giorni in Cin sono stati un trauma nonostante io in Cina già ci fossi già stata per 4 mesi grazie all’università.
Ho deciso allora di cercare ispirazione da qualcuno che aveva intrapreso una strada vagamente simile alla mia e sono finita a leggere tutti i tuoi primi post su questo blog trovando, almeno in parte, quello che cercavo:
“Immagino di apparire patetico (mamma che due coglioni Martí, anche meno…), ma il punto interessante é proprio questo: ti mancano le persone – e questo é ovvio – ma ti manca quello che ti ha sempre fatto prendere fiato.
La conseguenza di questo é fondamentalmente semplice: quello che ti fa riprendere fiato devi trovarlo. E devi trovarlo qui.
E quindi le cose le devi provare, le devi fare, e ne devi fare esperienza e tesoro, senza sedersi mai.
Non basta sapere che a casa é pieno di gente che ti vuole bene, che ti segue, ti aspetta, ti cerca, e da cui puoi tornare quando vuoi: loro ci saranno comunque ed é bene dare loro spazio, ma vivere la circostanza come una parentesi, come qualcosa da cui prima o poi tornerai indietro é inutile. Anche se tu dovessi stare qui per solo pochi mesi, per quanto starai qui, dev’essere chiaro che é da qui che parte tutto quello che farai e diventerai in futuro.”
Si riparte da qui.
Quindi ti ringrazio, spero di riuscire anche io a riprendere fiato!
un abbraccio,
Elena
Ti ho scritto una mail.
Grazie