Siccome sono fondamentalmente un chiacchierone ma ai passi che faccio mi impegno a dare un seguito, dopo il racconto di quello che ho fatto ieri (se ve lo siete persi dovreste cortesemente dare un’occhiata QUI) oggi ho approfittato della gelida giornata di pallido sole e sono andato al “Factory 798 “.
Il “Factory 798” é il distretto d’arte di Pechino, un concetto molto simile al “Redtory” di Guangzhou di cui avevo parlato in QUESTO post l’anno scorso (anzi ad essere precisi é quello che ne ha in qualche modo ispirato la creazione).
Anche in questo caso si tratta di un vecchio stabilimento industriale progettato e costruito attorno alla metá degli anni ’50 in un linguaggio mutuato da quello Moderno del Bauhaus, caduto poi in disuso verso la fine degli anni ’80 e riconvertito “spontaneamente” e progressivamente in un polo per l’arte contemporanea e la creazione di oggetti di artigianato. Rispetto al Redtory appare come sconfinato e, complice la lingua cinese in cui é scritta la stragrande maggioranza della segnaletica, veramente difficile da percorrere e scoprire in tutte le sue parti. Sono entrato effettivamente all’interno di pochi spazi espositivi veri e propri (quattro o cinque in tutto): ho speso invece piú di tre ore vagando per le strade interne che si addentrano nei vari blocchi (veri e propri isolati urbani) e avventurandomi in qualche edificio semi-deserto, percorrendo viali alberati assolati cosí come vani scala e corridoi bui e apparentemente abbandonati da decenni – salvo ritrovarsi in qualche sperduta stanza riverniciata di fresco in cui qualche soggetto solitario maneggiava vecchi fogli o pezzi di ferro arrugginito. L’arte contemporanea mi piace, un po’ in tutte le sue forme: mi interroga, mi diverte e mi mette a disagio allo stesso tempo. Sono peró infinitamente più attratto dalla natura delle scelte – o non scelte – di natura estetica – o non estetica – che sono andate nel tempo a caratterizzare lo spazio architettonico e urbano di questo pezzo di archelogia industriale, in modo da renderlo “contenitore d’arte”, e forse espressione artistica esso stesso. Le foto a seguire dovrebbero riuscire a rendere l’idea di quello che piú mi ha riempito gli occhi, oggi mentre camminavo.
All’interno del “798” le forme d’arte che si incontrano sono le piú diverse: vanno al padiglione occupato da pochi pezzi installati da qualche artista concettuale, all’installazione di strada, al graffito, alla bottega che vende abiti artigianali dal design contemporaneo, alla bancarella che vende l’orologio con cinturino fatto a mano personalizzato… al ritrattista (o “caricaturista”) di strada come si potrebbe trovare a Firenze fra Piazza Duomo e Ponte Vecchio. Ogni angolo é caratterizzato da un’espressione diversa, come se a ogni “entitá” (artista singolo, gruppo, laboratorio, bottega) avesse stratificato la sua firma, nel tempo, in modo assolutamente autonomo e autoreferenziale, ma quello che ne emerge é come un quadro unitario e armonico, grazie alla forte caratterizzazione dell’ambiente urbano che fa da scenario e contenitore.
Ci sono svariati elementi che maggiormente determinano la riconoscibilità di questo distretto: le pareti in laterizio, utilizzato secondo le tessiture più disparate, che sono talvolta modellate fino a formare volumi contorti, curvi o bitorzoluti; i piccoli blocchi in acciaio verniciato di bianco e vetro solitamente annessi ai piani terreni dei vecchi padiglioni industriali a formare in filtro fra fabbricato e strada; i grandi archi in cemento che sorreggono le coperture a shed dei principali edifici. A fare da fil-rouge, immensi tubi dei vecchi impianti che corrono lungo le strade e attraversano gli edifici quasi ti accompagnassero nel racconto di tutta la storia.
Benvenuti al “Factory 798“.
PS: Altra nota per il futuro: queste passeggiate nelle giornate libere del weekend fanno bene agli occhi e anche al sistema nervoso. Quando torno a casa a metá pomeriggio in questi giorni mi sto sparando delle dormite che neanche quando ero un bambino, dopo pranzo, al mare.
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