67. Preview

​Avevo riempito alcuni momenti morti in taxi, aereo e albergo buttando giú un po’ di note e ripromettendomi di riorganizzarle in seguito per scrivere questo post.
Poi le ho rilette e, un po’ per mancanza di tempo (aspettare a scrivere in questo caso sarebbe come mangiarsi una pizza riscaldata), un po’ per la serie di stati d’animo contrastanti che ho avuto in questi giorni e che ancora mi rende difficile dare un filo al tutto, ho deciso di lasciarle com’erano e semplicemente metterle in fila. Volutamente: senza una premessa e una conclusione. Perché riguardano un capitolo che devo ancora cominciare.

19/20 Gennaio 2016. Trasferta a Wuhan, una “preview” del mio prossimo anno.

Ve lo fa anche a voi che quando dovete alzarvi un po’ prima la mattina, per paura di non svegliarvi in tempo, finite per farlo a casaccio alle ore più disparate della notte?
A me me lo fa eccome, con l’aggravante che poi non riesco ad addormentarmi per ore e mi ritrovo a riprendere sonno solo a un’oretta dalla sveglia, la quale poi mi coglie in piena fase REM e mi getta nel disagio più nero per tutta la giornata a seguire.
Oggi è una di quelle mattinate simpatiche. Dovevo passare presto dal nostro LDI (Local Design Institute) per una consulenza rapida prima di scappare in aeroporto e saltare su un volo per Wuhan e, fra macchinetta del caffè furbamente da caricare e biancheria di ricambio ancora da cacciare in borsa, mi ci sono presentato (in anticipo, peraltro) con la riga di dentifricio ai lati della bocca e premendo i bulbi oculari con i palmi delle mani per rinfilarli nelle orbite.

Di Wuhan sentirete parlare abbastanza spesso in futuro. Come già accennato più volte, ho firmato il rinnovo del contratto con il nostro ufficio cinese e stabilito fondamentalmente di prolungare la mia permanenza in Cina per tutto il prossim’anno. Wuhan sarà la mia prossima destinazione.
“Wuhan…? E dov’è Wuhan?” direte voi.
Ecco, questo è esattamente il punto.
Wuhan è la capitale della provincia del Hubei: una città di secondo livello (per popolazione) posta nel bel mezzo della Cina nera nera nera, a due ore di volo da Beijing, due da Shanghai, e due da Guangzhou, ovvero a 1500km dalla “civiltà”.
A Wuhan io ci starò per un anno. Roba che, ci scommetto, mi ritroverò a breve a cantare a squarciagola per strada la famosa canzone di Jovanotti sostituendo a forza, per farla entrare nella pregiata “metrica”, la parola ombelico con bucodelculo.
Me lo ricordo come fosse ieri: andai per la prima volta in ufficio in Italia, B. tirò su la testa bionda dal computer per presentarsi e, sorridendo serafica, mi disse: “Sto ultimando i preliminari di un altro Outlet. Sai, questo è proprio in un posto dimenticato da Dio: si chiama Wuhan”. E, quando si dice l’ironia della sorte, questo è proprio l’Outlet di cui dovrò, per l’appunto, curare a breve la prossima supervisione artistica.
In effetti ormai cominciavo a starci comodo, a Beijing, quasi fosse la mia terra natìa (sarcasmo alarm), per cui mi è sembrato giusto affrontare un’esperienza più, come dire, “challenging”.
A Wuhan c’è IKEA, c’è Zara (le basi, almeno le basi…) e ci saranno, mi auguro, insegne riconoscibili per strada e nomi in inglese delle fermate della metro come da tutte le altre parti: solo che non ci sono foreigners e tantomeno expats. Gli occidentali, se ci sono, ci passano di sfuggita qualche giorno per andare a visitare lo stabilimento produttivo della propria azienda e poi se ne vanno. Si dice ci sia un solo bar frequentato dagli stranieri (datemi il tempo di trovarlo e poi mi troverete lì, ogni sera, tavolino in fondo a destra, a fissare con sguardo rotto una bottiglia di birra Qingdao), qualche negozio western-friendly, un solo Carrefour che vende prodotti di importazione e… nessuna pizzeria italiana! E non venitemi a fare gli sgargianti con commenti tipo “ecco il solito che va all’estero e come prima cosa va a cercare il ristorante italiano!” perché questo discorso vale se vai in vacanza o per un periodo limitato ma se un posto deve diventare in qualche modo la tua casa, certe cose (prima fra tutte prendersi cura del proprio stomaco) diventano di necessità primaria.
Adesso mi devo imbarcare, scrivo dopo.

[…]

Cena divertentissima coi capi in un ristorante curioso su un tratto commerciale di una strada tutta dritta di cui non si vedeva la fine né in un verso né nell’altro. Nessuno parlava inglese e con le poche parole cinesi che abbiamo rimesso insieme siamo riusciti a (farci fregare e) ordinare quello che sarebbe bastato per sfamare tutto il battaglione Aosta e le relative famiglie. Era tutto buono da morire anche se piccantissimo. A Wuhan devono avere la bocca foderata di amianto.
Ora sono nella mia stanza d’albergo: é uno dei più belli in cui abbia messo piede, magari posterò qualche foto.
Appena fuori da questo “recinto incantato” c’é un viadotto alto venti metri e largo trenta che taglia a mezz’aria l’orizzonte. Tutto intorno palazzi sterminati e tutti uguali. Sono completamente bui… sembra una cittá fantasma: ci sono cantieri ovunque, torri di dimensioni spropositate a migliaia, ancora in costruzione o appena finite, in cui non abita ancora nessuno. L’impressione é che si potrebbe trasferire l’intera popolazione italiana dentro queste “case” e ci sarebbe ancora posto.
Fra un gruppo di edifici e l’altro (i palazzi cambiano per colore e numeri di piani ma sono identici fra loro), distese di baracche o vecchi agglomerati di casupole squallide e polverose. Saranno le prossime a sparire e fare posto ad altri palazzi tutti uguali. Fa venire i brividi.
Chissá com’é la vita di chi vive qui.
Chissá come sará la mia.

preview (1)
preview (2)
preview (3)
preview (4)
preview (5)
preview (6)
preview (7)
preview (8)
preview (9)
preview (10)

[…]

Wuhan sembra non avere un centro vero e proprio. Ha il tipico aspetto di cittá che sono il frutto della fusione di piú centri urbani. E poi si sviluppa sulla confluenza fra due fiumi (uno é il Fiume Azzurro) ed é incastonata fra innumerevoli laghi.
Nella distesa di edifici ogni tanto si aprono dei vuoti immensi in cui si vedono ponti e viadotti modernissimi sospesi su specchi d’acqua o pagode a punta che sbucano dalla nebbia. C’é un sacco di verde intorno ai laghi e ai fiumi.

[…]

Stiamo tornando dal sito dove sorgerá l’outlet. Adesso tutto intorno al lotto stanno costruendo palazzoni anche lí: dice il capo che un anno e mezzo fa non c’era niente ad eccezione della linea ferroviaria ad Alta Velocitá che ci passa proprio davanti. “Un tempo qui era tutta campagna” vale anche in Cina solo che “un tempo” qui in Cina equivale a sei mesi fa.
Mi oriento bene. Mi emoziona l’idea di cominciare da zero una cosa che per ora ho visto solo su uno schermo o su un foglio stampato. Il lavoro non mi preoccupa. Nella peggiore delle ipotesi attraverso la strada, monto sul treno e me la do a gambe.

preview (11)
preview (12)
preview (13)
preview (14)
preview (15)
preview (16)

Abbiamo fatto un giro nella zona in cui mi hanno consigliato di cercare casa.
A due fermate di distanza della metro c’é una via pedonale lungo il fiume molto bella fiancheggiata di negozi. E alle spalle un centro commerciale, un cinema multisala, un teatro e il distretto degli alberghi. Ovunque edifici e viali in costruzione. Non vedevo una tale concentrazione di cantieri da quando sono andato a Berlino Est nel 1999. Solo che qui l’estensione é da levare il fiato. Non ho visto un occidentale nemmeno per sbaglio.

preview (17)
preview (18)
preview (19)
preview (20)
preview (21)

[…]

Peró mentre rileggevo mi é venuta in mente una cosa che mi ha insegnato la mia esperienza (e quella di alcune persone a me vicine) in questi ultimi anni. É come un filo rosso che ogni tanto torna fuori e sará bene che me la tenga bene a mente:
Quando si é di fronte a qualcosa di cosí radicale e “importante”, se si pensa a quello che “potrebbe essere” domani si rischia di rimanere paralizzati: dalle preoccupazioni, dall’incognita… dalla fifa!
Il domani fa paura. É ignoto e non si sa che piega prende.
L’oggi peró no. Con l’oggi ci si fa i conti: ci si mette lí, ci si rimbocca le maniche e si vede di cosa c’é bisogno. Faró cosí. Un piede davanti a quell’altro. Aspettiamo di rompersi la testa prima di fasciarla.

[…]