77. Qui non si scherza.

Un viaggio di tre ore in treno veloce da Beijing mi ha portato a Zhengzhou, dove avrei dovuto incontrare un potenziale nuovo cliente interessato a un nostro contibuto non meglio specificato nell’ambito di un Landscape Design. Zhengzhong non l’avevo nemmeno mai sentita nominare (o forse anche sí ma tanto i nomi non me li ricordo fiché non ci metto piede) e, sapendo soltanto che é una cittadina di media grandezza capoluogo del Henan, non sapevo nemmeno cosa aspettarmi.
All’inizio, appena uscito dal solito distretto “occidentaleggiante” fatto di torri a curtain-wall intorno alla sconfinata stazione Est, ho avuto la netta percezione di trovarmi nel posto piú squallido che avessi mai avuto l’opportunitá di visitare: una piana solcata da strade enormi, polverose, circondate da baracche spoglie e casupole fatiscenti, davanti alle quali la gente mangiava, fumava, chiacchierava o lavorava accovacciata sul proprio posto in mezzo a spazzatura e calcinacci. A interrompere la monotomia del paesaggio, ogni tanto, il solito compound sempre uguale, fatto di palazzi alti trenta piani, apparentemente deserti, per i quali logicamente ti aspetteresti un attacco a terra fatto di negozi e giardini, e che invece emergono dal suolo in maniera talmente anonima e sciatta che tu immagini possano proseguire sottoterra per altrettanti piani senza soluzione di continuitá, e ti chiedi da che parte passerá la strada per arrivarci. Un po’ lo spettacolo che avevo visto QUI a Wuhan, ma qui era ancora piú forte l’impressione di essere in un posto in balía dell’assoluta mancanza del “bello”. Perché non era tanto la povertá a saltare all’occhio – in certi paesi di Bali o sobborghi di Bangkok la gente non naviga certo nell’oro ma ho visto gente di una dignitá e una statura davvero regale mentre lo squallore di questo scenario é inimmaginabile – quanto la mancanza di qualcosa, senza saper nemmeno cosa, che ti rimettesse in pace con la tua “umanitá”.

Zhengzhou (1)

Abbiamo dovuto cambiare due volte il taxi perché gli autisti non avevano idea di dove fosse il posto in cui dovevamo andare, il che, se ci pensate, é davvero un’ottima premessa… Poi alla fine, finalmente, quello buono ha imboccato una strada tutta dritta e tutta uguale che si lasciava la cittá alle spalle e proseguiva in una campagna ancora piú desolata e desolante ma che a un certo punto si é dimostrata quantomeno singolare. Singolare perché le aiuole ai lati della strada erano anche stranamente “curate”: gruppi di alberi recentemente potati, cespugli piantati con criterio secondo un disegno semplice ma efficace, che si sarebbe distinto per foggia della piante o colore della chioma se non fosse stato che tutto si trovava sommerso da uno strato di polvere cosí denso da rendere tutto uniformemente dello stesso grigio. A rafforzare questo ambiente surreale, il fatto che il cielo era sí di un pallido azzurro, ma la luce non proiettava a terra nessuna ombra, tanto l’aria era denza di pulviscolo. Io non so rendere meglio di cosí l’idea dello straniamento che tutto questo ha provocato in me: non avrei nemmeno saputo dire se era freddo o caldo.

A poco a poco ai lati della strada sono comparse delle sculture: gruppi di cavalli, dinamiche fugure antropomorfe, rane danzanti, che si infittivano col proseguire, fino a che un arco alto dieci metri interamente ricoperto di pailettes rosso fuoco che sbrilluccicavano nell’aria densa, ci ha introdotto alla nostra meta. E mi sono ritrovato in pieno “The Truman Show”.
Palazzi in stile “retró”, villette a due piani con giardino, aree pedonali lastricate e corredate di tutti gli arredi urbano del caso, strade appena asfaltate e ancora ricoperte da un sottile strato di polvere (quello proveniente di circostanti cantieri edili), su cui giovani in giacca e cravatta scortavano coppie ben vestite e signore ingioiellate – presumibilmente potenziali acquirenti di qualche immobile – portandoli in giro con le macchinette elettriche da golf.
Il plastico sei metri per quattro collocato nella hall dell’edificio centrale della “cittadina” (sede della Real Estate Agency promotrice dell’intervento e oggi impegnata nella vendita delle unitá immobiliari) mostrava con chiarezza la portata dell’investimento: una cittá dall’impianto articolato, immersa nel verde e completa di nucleo commerciale, centro direzionale, impianti sportivi, scuole, persino un centro per il “turismo agro-alimentare” (ragazzi, siamo in Cina… ma di cosa divolo stiamo parlando!!!), il tutto circondato da abitazioni razionalmente ma non troppo duramente raggruppate per tipologie che andavano dalla villetta a tre piani bifamiliare alla torre alta venti per appartamenti da 60mq, e divise in sette “distretti”. A quanto roportavano le informazioni, i primi tre, in corso di ultimazione, erano giá sold-out.
Un ragazzo compíto coi capelli fatti e dotato di abito e cravatta scuri dalla fattura dozzinale ci ha spiegato nei dettagli come solo cinque o sei anni prima il Governo avesse reputato fondamentale ampliare la cittá in direzione ovest, visto che ad est si stava velocemente saturando, per cui aveva incoraggiato gli investimenti in quest’area collinare. La creazione di un nuovo nucleo urbano in questo scenario imponeva chiaramente un’implementazione decisa di molte opere a rete per cui si stava lavorando alla creazione di una linea della metrolitana che sarebbe sbucata proprio nel cuore della nuova cittá e due arterie che l’avrebbero collegata all’anello autostradale di Zhengzhou. Allo stesso tempo diverse aziende erano state incentivate a trasferire i loro uffici nella zona, in modo da non rendere questo nuovo distretto un dormitorio a servizio della cittá principale: non era un compito difficile perché questa nuova cittadina era stata concepita a cavallo di un fiume (adesso prosciugato artificialmente perché andava integrato nel disegno del paesaggio) che per i cinesi porta fortuna, ovvero DENARO.
La cosa divertente é che intorno a me tutti annuivano interessati mentre io mi guardavo attorno cercando uno sguardo d’intesa che mi confortasse sul fatto che quello era tutto vero e non frutto della mia immaginazione.

Zhengzhou (2)
Zhengzhou (3)
Zhengzhou (5)

Per farla breve, dopo un pranzo veloce dal contenuto non identificato, mi hanno portato a fare un giro perché potessi farmi un’idea dello stato dei lavori: fra un isolato e l’altro, parzialmente ultimati e giá apparentemente corredati di tutte le facilities principali, si stendevano distese di terra in cui infilavi a mezza gamba come nella neve fresca… terra sabbiosa, smossa da una parte all’altra da eserciti di ruspe, al punto che era persino impossibile capire l’orografia originale. Alle mie domande sulle caratteristiche del suolo, sull’altezza dei rilievi, sulla pendenza delle strade, sulla relazione con gli edifici esistenti la risposta era sempre la stessa: “Archite’, al cliente je serve paro? Famo paro! Je serve ‘na collina? Famo ‘na collina! Je serve un lago con un’isola vulcanica in mezzo e un fondale con barriera corallina popolata da sirene e tritoni? E dove sta ‘r probblema!?“.
Improvvisamente non ho fatto piú fatica a digerire il fatto che a Guangzhou abbiano spianato le montagne a sud del Pearl River per far sí che la cittá potesse espandersi fino a diventare un tutt’uno con Foshan, o che a nord di Beijing abbiano deciso di piantare in quattro e quattr’otto delle foreste intere per riparare la cittá dalle tempeste di sabbia salvo poi abbatterle dopo due femtosecondi perché si erano accorti che invece era meglio favorire i venti che la liberassero dal celebre inquinamento. Il tutto come giocare un partita a Monopoli.

Zhengzhou (7)
Zhengzhou (8)
Zhengzhou (10)

Mi sono allora ricordato che uno degli ultimi lavori portati a compimento dal mio studio in Italia fu un (bell’) intervento per la realizzazione di un fabbricato a uso residenza, con venti appartamenti, e la realizzazione delle relative opere di urbanizzazione (parcheggio, verde pubblico, viabilitá principale) a scomputo degli oneri. Trattative con i clienti, lungaggini con l’amministrazione, compromessi con la ditta appaltatrice… chiudemmo il cantiere nel 2013: il Piano di Lottizzazione originario era stato presentato nel 2005. Otto anni per un palazzo di appartamenti.
Qui, fra due anni (quindi in meno di sette) avranno ipotizzato, ideato, concepito, progettato, coordinato, e presumibilmente ultimato e collaudato una cittá intera. Una cittá fatta di strade case, ville, palazzi in vetro, scuole, uffici, banche, parchi, giardini, campi da tennis e fiumi che portano soldi. Nata come un fungo nel bel mezzo del nulla.
Qui non si scherza.

E poi ci si chiede perché questi ci fanno il culo.

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