C’é Cina e Cina.
E ci sono posti in cui metti piede e dopo due minuti ti viene voglia di dire “Bene ditemi quando fare le valigie e io arrivo”. Shanghai, la cosiddetta “Perla d’Oriente”, é per me uno di questi.
C’ero stato l’anno scorso a gennaio ma non avevo visto altro che la mia camera d’albergo, sballottato fra l’aeroporto e Pudong, per l’Opening del Florentia Village Design Outlet (qui e qui), per cui tornarci quest’anno per il weekend di Pasqua a trovare degli amici é stata una vera e propria scoperta: Shanghai ha ancora vivo il sapore elle grandi cittá coloniali in cui i caratteri tipici della metropoli asiatica si fondono con quelli delle cittá d’occidente, in questo caso importati dalle comunitá straniere che si sono insediate qui nel Novecento (é conosciuta, non a caso, anche come la “Parigi d’Oriente”).
La prima impressione che ho avuto é di una cittá fatta per essere vissuta tutta: le strade sono belle, proporzionate e piene di alberi; i palazzi hanno delle caratteristiche riconoscibili, grazie ai mattoni rossi e grigi che ne compongono le facciate. I marciapiedi si popolano di botteghe arrangiate ma anche di localini alla moda in cui numerosi expat si concedono una birra al pallido sole pomeridiano (in un contesto che mi ha vagamente ricordato il SoHo di Hong Kong). Insomma, é vero che ho visitato una minima parte e per l’appunto la piú storica e western-friendly, ma ho avuto la netta impressione che per quanto sia sterminata Shanghai sia una cittá-cittá, non un insieme di casermoni impersonali costruiti uno di fianco all’altro su strade tutte dritte larghe trenta metri come la stragrande maggioranza dei quartieri di Beijing.
Anche la gente mi é sembrata diversa. Dicono che qui se la tirano e si riservano di analizzare il tuo status sociale prima di accoglierti nel loro “cerchio della fiducia”, ma a me, abituato alla popolazione autoctona pechinese che si accalca in metro a testa bassa sul telefonino calpestandoti senza ritegno, i cinesi di Shanghai sono sembrati immediatamente gentili e sorridenti… quasi “presenti a loro stessi”, oserei dire.
Insomma fra un pranzo in appartamento di amici a nord di Jing’an Temple, una cena in un ristorante super-potta al quinto piano di un palazzo anni ’20 in pieno Bund (con una vista meravigliosa sui grattacieli di Pudong) e una passeggiata pomeridiana nella Concessione Francese, Shanghai ha lasciato in qualche modo il segno. E al di lá delle mie nozioni in termini di urbanistica storica e analisi percettiva della città (all’interno del cui barile sono andato a ricercare le ragioni di una “originalitá” percepita che ha risvegliato in maniera cosí viva il mio interesse) sono fondamentalmente giunto a questa conclusione: a fare la differenza è soprattutto il fatto che secondo me se stai a Shanghai ti puoi ritenere a ragione UN FIGO DELLA MADONNA. E ai miei occhi questa è sempre stata una ragione valida e sufficiente per farci un pensierino. Chissá.
NB: Il tempo trascorso in compagnia di amici ha fatto sí che il mio telefono sia rimasto saldamente in tasca per tutto il weekend, per cui le immagini sono poche, ripetitive e bruttine, ma credo di poter dire con sufficiente margine di sicurezza che avró occasione per farne altre…
(Chi ha orecchi intenda)
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