Oggi é la festa del Qingming, ovvero il “Tomb Sweeping(*) Day“, che avrebbe trasformato il normalissimo primo weekend di Aprile in un weekend lungo. Dico avrebbe perché la fortunata congiunzione astrale fra una riunione protrattasi per sei ore nel pomeriggio di venerdí e la consapevolezza di trovare intasata la Muraglia Cinese per tutto il fine settimana hanno fatto sí che io stia stato prevalentemente di fronte a uno schermo piuttosto che dedicarmi alla mia agognata gita fuori porta.
Questo a meno di ieri pomeriggio, quando (complice una primavera ormai quasi interamente sbocciata e una pollution ai minimi storici) G. mi ha accompagnato per un giretto in cittá. E senza averlo nemmeno programmato ci siamo ritrovati a celebrare la festa dei defunti “a casa” della recentemente scomparsa Zaha Hadid, ovvero al Galaxy Soho di Chaoyangmen, il che mi dá l’occasione di rendere a mio modo un omaggio alla famosa progettista.
Sará un omaggio un po’ sui generis perché devo ammettere che a me Zaha Hadid non mi é mia piaciuta tutto ‘sto granché. Credo che il suo piú grande pregio sia fondamentalmente quello di essere stata l’esponente di spicco di un linguaggio che ha aperto all’architettura la categoria della possibilitá, della creativitá, del dinamismo piú estremo: ammettiamolo, le sue creazioni ci hanno fatti rimanere tutti a bocca aperta e, visto che noi architetti ci crediamo un po’ delle archistar incomprese avremmo voluti essere tutti al suo posto, a scarabocchiare con un pennarello su un foglio bianco (NON sul parabrezza della macchina, caro Fuksas, che fa cafone) e vedere come poi quel guizzo si trasformava in “ciccia”.
Allo stesso tempo peró ho l’impressione che giá da molto tempo la spinta innovativa di Zaha abbia lasciato il passo a una gestualitá un po’ gratuita e autoreferenziale… che ha fatto diventare Zaha Hadid uno dei tanti architetti che fanno il verso a Zaha Hadid. L’aggravante é che il suo é un tipo di linguaggio, a mio modesto avviso, che diventa davvero efficace e riesce a esprimere il suo messaggio solo se accompagnato da una esecuzione eccellente, sopraffina, senza difetti. Ed é cosí che il MAXXI di Roma, ad esempio, toglie il fiato perché le sue superfici di cemento sembrano fluttuare lisce come il burro, il velluto, la seta… mentre d’altro canto l’Opera House di Guangzhou, che avevo sotto casa quando abitavo lá, con le sue finiture “alla cinese”, i suoi angoli sbucciati, i ferri che affioravano dal calcestruzzo, le resine fessurate, le vetrate accostate con approssimazione, in pochi anni dalla costruzione pareva di giá un “monte di sudicio”.
Il Galaxy Soho (quattro bubboni fluidi di millemila piani, a destinazione commerciale e direzionale) non mi ha fatto un’impressione migliore. Mi pare abbia tristemente tradotto con efficacia la nota incapacitá da parte della societá cinese di appriopriarsi di una reale “visione urbana” della cittá, che qui si sviluppa per semplice moltiplicazione e accostamento di elementi isolati, ed appare quindi una specie di cattedrale nel deserto, un invaso in cui le linee curve non traducono un vero flusso di movimento né diventano un catalizzatore urbano ma rimangono un puro “gesto” avulso dal contesto e quindi incapace di rigenerarlo, mentre gli spazi interni (quasi completamente sfitti) danno la senzazione di un perfezionismo gelido che mette addosso un’avvilizione senza fine. Sembra una vetrina luccicante in cui sono esposti in bella vista tutti i maggiori difetti della (mancanza di) visione architettonica di questa societá. E quel che é peggio é che (tanto per cambiare) cade giá a pezzi.
Insomma mi sa tanto che se volevo fare un omaggio a Zaha Hadid non le abbia reso un gran servizio… peró quando ho visto il suo “memorial” nella grande e deserta Hall del Galaxy un moto di commozione l’ho avuto, dai.
Pubblico di seguito anche alcune foto scattate al Ritan Park, che dal Galaxy Soho dista dieci minuti a piedi (nel quartiere russo di Beijing)… che non c’entra nulla ma che a differenza di tanti altri parchi pechinesi, in genere un po’ impersonali, mi é piaciuto molto: movimentato, curato, caratterizzato da spazi ed episodi pittoresci, quasi “giapponesi”, come il barcone di pietra sul laghetto o la cornice di salici piangenti che gli fa da sfondo.
Mettetelo negli spot da vedere se passate da queste parti. Magari nel caso fatemelo sapere: vi offro un piatto di noodles.
E poi ce ne andiamo al Galaxy a rincorrere le balle di fieno che ruzzolano.
Galaxy Soho by Zaha Hadid
Ritan Park
(*): per la realizzazione di questo post sentitamente ringraziamo wikipedia, senza il quale il sottoscritto avrebbe continuato a credere in eterno che la festa del “tomb sweeping” (pulitura delle tombe) il realtá si chiamasse “tomb’s weeping” (pianto della tomba), secondo un pittoresco nome che sarebbe piaciuto tanto a Tim Burton ma che, no, non é quello vero.
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