“Ma che ci fai, lí a Wuhan?”
Me l’hanno chiesto in diversi e allora ho pensato di raccontare qui la mia nuova “routine”, ovvero la giornata lavorativa tipo di un Site Supervisor in Cina. A parte il contesto che conferisce un tocco vagamente esotico al tutto, noterete che non é nulla di particolarmente entusiasmante. Nonostante il mio compito a Wuhan non si discosti molto da quello che svolgevo a Guangzhou (ne avevo giá parlato in dettaglio QUI) é peró una routine tutto sommato nuova per me: nuovo il progetto, nuovo il team che mi circonda (composto da soli cinesi, vorrei ricordare) e nuovi la cittá e il contesto in genere, per cui il feeling generale é per me ancora una cosa “fresca”.
Si arriva in cantiere prima delle nove dopo una mezz’ora abbondante di macchina e la mattinata parte subito in quarta, fra samples da approvare, comunicazioni fra Project Management e Ditta Appaltatrice, scambi di messaggi Wuhan/Beijing con il nostro LDI (il “Local Design Institute” ha lo scopo di elaborare il progetto esecutivo sulla base dei definitivi elaborati in Italia, perché gli studi stranieri non sono abilitati all’elaborazione di Construction Drawings in Cina), meetings interni o con il rappresentanti del Governo (a cui partecipo marginalmente perché in qualitá di Artistic Supervisor sono di fatto un “consulente esterno”).
Di solito faccio un giro sul cantiere, scattando foto e cercando di trovare problemi prima che loro trovino te: siamo ancora in uno stato di avanzamento tale che tutti gli edifici sono impacchettati dentro le impalcature per cui andare a controllare un dettaglio significa intrufolarsi, arrampicarsi, sporcarsi di terra e ruggine da capo a piedi. Si torna in ufficio sudici e fradici ma dá una certa soddisfazione.
A questo punto, di solito, la mattinata é andata perché in cantiere si pranza… alle 11:30.
Il General Contractor mette a disposizione la mensa anche per il Project Team: nonostante sia in una casetta di lamiera con i pavimenti in cemento crudo e gli sgabelli sbertucciati, é pulita e non si mangia male. Mangio riso (MAI toccato il riso prima di venire in Cina), verdure saltate, carne… evito finché posso i brodi e le polpette perché chissá cosa c’é dentro. A Guangzhou mi portavo il pranzo da casa perché la Canteen era impraticabile: qui ancora devo organizzarmi un attimo, e tutto sommato finché resisto é una valida alternativa.
Ho tentato da subito di fare un po’ di conversazione durante il pranzo ma vedevo che per loro il piú delle volte parlare inglese era un po’ una scocciatura in un momento in cui tendono a rilassarsi, per cui capitava che il piú delle volte mi guardassi intorno solo cercando di carpire almeno qualche parola del discorso. Adesso che é tornato il Project Manager (l’unica figura che avevo giá conosciuto in precedenza, che é simpatico da morire e parla un inglese molto piú disinvolto) va giá molto meglio.
A mezzogiorno abbiamo ovviamente bello che finito. Tutti spariscono quasi per un’oretta perché vanno a spararsi la consueta pennichella; per me é invece il momento in cui lavoro meglio: caffé alla mano, sistemo l’archivio di downloads e rispondo alle mail senza rompimenti vari. A volte, magari, ne approfitto per staccare dieci minuti e buttar giú due righe come adesso. D’altronde a quest’ora in Italia ancora si dorme, e non é questo lo spazio per le telefonate o i social.
Verso l’una tutto é giá ripreso a pieno ritmo, con l’aggravante che l’Italia si sveglia e quindi capita che le mail raddoppino. Facendo un break per il pranzo cosí presto non sará difficile comprendere che la percezione del tempo ne esce un po’ sballata e il pomeriggio lavorativo tende cosí ad essere uno “zinzirillino” pesante, specie sul finale (l’altra settimana, in cui ancora dovevo abituarmi a questo ritmo, a un certo punto ho letto “5:57” e ho pensato fra me e me: “oh devo sbrigarmi che tra un po’ si va a casa”. Nisba. Erano le 15:57).
La macchina che ci riporta in cittá parte solitamente dopo le sei, e quando torno a casa sono piuttosto stanco e ho una fame tale che giá in giardino visualizzo polli arrosti che volano: ne va da sé che non avendo ancora cominciato né a fare palestra né a frequentare nessun corso di lingua cinese (i due baluardi serali che mi ero posto nel momento dei “buoni propositi iniziali”) in questi giorni va a finire che alle otto ho giá cenato, fatto i piatti ammonticchiato a cazzo i piatti per la donna delle pulizie, e quasi digerito.
In pratica ho gli orari degli abitanti di Oslo. O piú semplicemente quelli degli anziani. Di cui condivido peraltro verve e night-life (almeno per adesso).
Sapete cosa?
Visto che ci siamo domattina quasi quasi vado a rompere i coglioni alla gente mettendomi all’alba in fila alle Poste.
Guanzou tu sei!
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