Pochi giorni fa, a Wuhan, ha smesso di piovere. Le ultime gocce non avevano ancora toccato terra che la temperatura é salita di botto a quaranta gradi, vaporizzandole, e lasciando tutti basiti, attoniti, immobili, nell’esatta posizione in cui erano, sudati mezzi, come preda di un maleficio. Io, dopo qualche serata passata a stampare la mia sagoma sul lenzuolo sotto il getto incessante dell’aria condizionata, ho deciso che avanti cosí non si poteva andare, e ho aperto le mappe di iPhone all’insegna di una destinazione che mi levasse di casa almeno il weekend: ho cosí notato che dalle foto scattate dal satellite si vedeva un piscina scoperta a un isolato da casa mia. Ho chiesto informazioni e, incurante del monito di chi mi diceva “Guarda che tutta la zona era alluvionata fino a una settimana fa, che ci vai a fare a tirare i sassi alle pantegane?”, ci sono andato.
La piscina non era male: niente lettini per sdraiarsi attorno, cemento nudo sulle banchine, ma almeno era grande, appena ripulita, circondata di verde, e fresca. Sono arrivato preso, quindici minuti prima dell’orario di apertura (le due del pomeriggio, il piú raccomandabile per noi anziani che secondo Studio Aperto dovremmo rimanere al riparo bevendo acqua e cibandoci di sola frutta e verdura), ho messo la mia cuffia d’ordinanza e mi sono sdraiato in solitudine su uno dei gradoni coperti di bisazza blu, in uno strato d’acqua di dieci/quindici centimetri, a prendere un po’ di sole con le orecchie sommerse quel tanto che bastava per ammortizzare il suono delle cicale e quant’altro.
Devo essermi appisolato, o meglio devo aver perso per un imprecisato ma benedetto lasso di tempo il contatto con la realtá circostante, ma a un certo punto ho avvertito una presenza. Ho aperto gli occhi e ho notato, in mezzo a quella patina bluastra tipica del risveglio sotto il sole, un gruppo di bambini direi otto/undicenni seduti in circolo attorno a me. Tutti accomunati dall’essere bardati, in un modo assolutamente sovradimensionato, con occhiali, maschere da sub, boccagli, braccioli gonfiabili, ciambelle, visiere per il sole e chi piú ne ha piú ne metta, e da un’espressione sbigottita al limite dello smarrimento, con le bocche aperte e le testoline inclinate di lato.
La prima parola emessa, da una delle ragazzine con tanto di dito puntato in direzione della mia barba, é stata “Laowai” (straniero): ho risposto “Esatto!” per come sapevo farlo in cinese, e da lí é stata un’escalation di domande (in inglese), poste col tono cantilenante di chi ha imparato la lezione a memoria il giorno prima: come-ti-chiami-da-dove-vieni-quanti-anni-hai-qual-é-il-tuo-cibo-preferito. Ho risposto divertito alla vista di quella facce sorridenti, e fatto loro altrettante domande, stando al gioco, fino a che le creature si sono volatilizzate alla spiacciolata, un po’ paghe delle risposte, un po’ imbarazzate dal ricevere insapettata confidenza da un marziano, un po’ richiamate dalle relative mamme che gridavano, in piedi sulla sponda opposta, dicendo probabilmente cose tipo “non disturbate il signore / venite via di lí / quello vi attacca le malattie / vi magna / scappate / ma non lo sapete che gli occidentali sono gentaccia mangiano le mucche mica i cani come noi”.
Insomma messa da parte questa folkloristica parentesi iniziale lo scenario si é presto trasformato in quello che tutti immaginate, ossía un esercito di cinesi sudati e urlanti, corredati di sacchetti di cellophane strapieni di merende bisunte, stipati nella pozza d’acqua cosí fitti da non riuscire piú a vedere il fondo, anticipando la mia ritirata. Mentre uscivo dall’acqua, peró, uno dei ragazzini mi ha raggiunto e squittendo roba in cinese dal significato a me oscuro, mi ha piantato in mano un quadratino di vetro blu, staccato dal fondo della piscina. Ho chiesto “Questo é mio?” (sí, in cinese lo so dire): lui ha annuito, mi ha fatto un sorriso sdentato, e in un “bye-bye” si é ributtato a capofitto nella mischia.
La morale della favola é che basta un centimetro quadrato azzurro per trasformare una giornata come tante in una giornata con qualcosa da raccontare.
Quanto mi piace come racconti le cose!
FR