132. Lotus

So happy to show us
I ate the lotus
Say haven’t you noticed?
I ate the lotus

Audio: R.E.M.|Lotus|Up|1998

Il loto vive di un momento brevissimo, durante il corso dell’anno, in cui é bello.
Fa schifo per un anno, col suo profilo fatto di steli neri e foglie putride che languiscono sul pelo dell’acqua. Poi tutt’ad un tratto no, diventa una meraviglia.

Wuhan, che tra laghi, stagni, fiumi, ruscelli e vattelappesca di fiori di Loto ne é strapiena, sembra adeguarsi a questo ritmo vitale e trova proprio nel breve periodo di fioritura del Loto il momento in cui é, se non certo una meraviglia, almeno “esteticamente piú interessante”. Non so se vi ricordate ma l’anno scorso, proprio di questi tempi, ne avevo un po’ parlato QUI, quando ero andato sulle rive dell’East Lake proprio guidato dal bisogno di “rifarmi gli occhi”. Anche quest’anno, per un breve momento, a Wuhan, il Loto é ritornato a farla da protagonista ma in modo leggermente diverso.

La combinazione fra un Opening anticipato in corsa di un giorno, le vacanze estive del capo, la partenza anticipata del cliente e l’arrivo del Big-Boss dall’Italia, ha fatto sí che ci siamo ritrovati a fare una giornata “da turisti” in giro per Wuhan: le persone che erano con me, sapendo che vi avevo trascorso un anno intero (o addirittura essendone in parte responsabili) mi hanno cosí invitato a portarli a vedere “qualcosa di bello”. A Wuhan. Piú facile a dirsi che a farsi…


Insomma é andata a finire che dopo un giro lungo fiume con tanto di passeggiata nei cortili di un tempio lí vicino e la visita a un paio di interventi di nuova costruzione per studiarne il trend (perché qui si lavora anche quando si va in giro a fare i turisti), siamo andati anche stavolta a finire sull’East Lake e, incuranti della scritta che diceva che il parco alle cinque del pomeriggio era ormai chiuso, ci siamo avventurati sul versante Sud-Est e abbiamo vagato nell’ora piú bella su e giú per la costa, dove anche questa volta i fiori di Loto l’hanno fatta da padrone.
Per un attimo questa immagine seppur fragile ed effimera (complice certamente l’esito piú che positivo della mia permanenza lí che mi ha non poco pacificato) é sembrata capace di azzerare tutto il casino di una anno. Un delirio fatto di incomprensioni, polvere, sporcizia, solitudine, alleggerito da una distesa di piante galleggianti ritte verso il cielo del tramonto.
Ed ecco che in quel preciso istante il karma c’ha messo del suo ed é successa una cosa – che non sto qui a spiegare per tutta una una serie di ottime ragioni che vanno dall’essere scaramantico al fatto che sono fatti miei, al fatto che é ancora tutto da vedere e che molto piú probabilmente non gliene frega niente a nessuno – che mi ha mostrato come quello che sembrava un capitolo definitivamente chiuso morto e sepolto, ovvero la mia “storia” con Wuhan, potrebbe in teoria non esserlo affatto.





Nel nono libro dell’Odissea, i membri dell’equipaggio di Ulisse vengono accolti dagli abitanti di una terra sconosciuta che offrono loro proprio questo tipo di fiori di cui cibarsi. L’effetto di quel pasto é come un colpo di spugna sulla loro memoria e sul legame affettivo che li lega alla meta del loro viaggio, in quel caso la loro casa. I viaggiatori si dimenticano cosí delle pene della guerra e del lungo vagare per il Mediterraneo, ma anche della loro Patria e con essa del desiderio di farvi ritorno, decidendo di spendere il resto della loro vita nella terra dei “Fiori di Loto”.

Ora. Considerato tra le altre cose che i suddetti fiori, indubbiamente belli da vedere, hanno pure un ruolo non secondario nella cucina locale e in particolare in quella dell’Hubei, la domanda che a questo punto mi si pone é: non é che n’avró fatta un po’ troppa scorpacciata anch’io?

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