Ci sono posti che, per quanto le aspettative che hai nell’andarci siano gonfie, fanno sì che esse vengono immediatamente superate nel momento stesso in cui ci metti piede. Già quando siamo arrivati a Shaxi ci siamo accorti che quello che avevamo davanti era uno degli scenari urbani più belli e autentici che avessimo mai visitato, e più ci siamo addentrati all’interno delle sue strade più ci siamo sentiti in un posto davvero straordinariamente a misura d’uomo. In più, vuoi perché la configurazione di questa piccola cittadina a metà fra Lijiang (da dimenticare) e Dali è già “adulta”, compiuta direi (nel senso che lascia pensare che ormai se fosse stata destinata al turismo di massa che porta Starbucks anche all’interno di piccoli anfratti urbani vecchi centinaia di anni ormai sarebbe già accaduto), vuoi per la fiducia riposta nei fondi che enti Svizzeri hanno devoluto per il suo restauro, ci piace pensare che possa essere un gioiello davvero destinato a rimanere preservato dallo scempio anche nel futuro, a testimonianza di una realtà, quella delle piccole Ancient Town che troppo spesso, almeno per i nostri parametri da occidentale, troviamo ormai irrimediabilmente sputtanata.
Alla visita di Shaxi abbiano destinato quasi un intero giorno, dopodiché abbiamo tirato dritto verso sud, arrivando in serata a Xizhou, sulla riva occidentale del lago di Dali. Lì l’impressione è stata all’inizio tutt’altro che la stessa, visto che si è trattato di un posto in cui l’impatto turistico non è stato affatto indolore, ma il giorno e mezzo di nullafacenza e vagabondaggio in bici fra le risaie ci hanno offerto comunque una visione bella di questo scenario in bilico fra il bucolico e l’urbano, che abbiamo vissuto fra piccole e osterie e birrerie artigianali, alla ricerca di sapori locali, settando un ritmo completamente diverso dalla maggior parte degli avventori di Xizhou che passano la giornata ad affottare vetture d’epoca e farcisi le foto nei prati davanti al famoso Linden Center (le foto le abbiamo fatte anche noi, ma non per un pomeriggio intero) senza fermarsi la notte ad apprezzare le strade deserte limitrofe al centro.
Dopo una breve sosta d’obbligo alle tre pagode di Dali (andateci, ma potete destinarci non troppo tempo, a mio avviso), siamo arrivati all’ultima tappa del nostro viaggio: Kunming. L’impressione che ne abbiamo avuto è quella di una città indubbiamente e autenticamente brutta in cui però resistono, incastonati in mezzo a ecomostri di cemento, ancora delle tracce di un passato fatto di orggogliose tradizioni e sapori unici – la componente del cibo nella cultura cinese è pari a quella italiana e la cucina Yunnannese è una delle più famose e riconoscibili. La foresta di pietra di Shilin, che vedrete rappresentata secondo le sue infinite sfaccettature nell’infinita ggalleria a seguire è stata la degna conclusione della nostra Golden Week.
Non so chi veramente sarà arrivato fin quaggiù nella lettura del blog e di quanto post in particolare, a maggior ragione dopo ‘sta caterva di foto ricicciate ormai in tutte le salse. Io l’ho fatto ma l’esperienza del racconto di viaggio ultimamente è stata accompagnata da entusiasmi alterni, a volte solo sentendo di doverlo fare, per mettere ordine ricordi e per tenere memoria di posti belli che magari un giorno mi sembrerà incredibile aver ammirato dal vivo, assaporato, toccato con le mie mani. Però qui io metto un punto. Come avevo fatto quattro anni fa, più o meno in questo periodo dell’anno (sarà l’inverno che avanza?), non avendo altri viaggi in vista, metto tutto in stand-by, faccio log-out e mi dedico, per un po’ di tempo, ad altro.
Un buon inverno a tutti.