141. YES, I LOVE NEW YORK!

Dicevamo, come sono uscito dall’empasse in cui mi sono trovato all’inizio del mio soggiorno ne “La Grande Mela”?

Molto semplice.
Come prima cosa ho cominciato pateticamente a scimmiottare il comportamento della gente che avevo intorno, dalle cose piú futili a quelle piú serie, cercando di mimetizzarmi il piú possibile con la popolazione locale. Anche perché di “locale” a Manhattan non c’é nessuno, i born and raised in New York si contano sulle dita di una mano, e quindi per te che sei appena arrivato c’é sempre posto.
Ad esempio, via l’abbigliamento sportivo (i turisti italiani sembrano tutti usciti da Decathlon), via le felpe e le magliette del cazzo dopo le dieci di mattina, e siccome sembra proprio che a New York se non vai in giro tenendo qualcosa da bere in mano non sei un cazzo di nessuno, io ho cominciato a portare a spasso dei gran caffé a tutte le ore del giorno, magari rimpiazzati di sera dalle classiche bottiglie di birra nel sacchetto di carta come gli ubriaconi dei film. Che poi é solo una delle immagini mutuate dal cinema che ti trovi quotidianamente in carne ed ossa davanti sul marciapiede, come l’anziano di colore che vaga per Harlem in completo gessato con le righe larghe cosí e il borsalino di paglia, il tipo che chiede l’elemosina con scritto “for Girls and Weed”, l’adolescente con l’uniforme della scuola e la tipa in shorts che si fuma una sigaretta di mattina presto raggomitolata sulle scale antincendio. Tutti soggetti puntualmente avvistati nella prima giornata di soggiorno a New York City.

Soprattutto, peró, ho cominciato ad attaccare bottone anche coi sassi. Complice l’insonnia ho scoperto, per esempio, che gli avventori dei bar aperti 24h sono piú inclini al dialogo del previsto ed é stato cosí, di prima mattina, che ho conosciuto il designer di interni che mi ha poi consigliato, fra le altre cose, il parrucchiere di Astor Place a cui ho affidato la mia testa. Col tipo che avevo invece visto fumare davanti al portone vicino al mio per due notti di fila é stato invece sufficiente far finta di non avere l’accendino: il tempo di fumarne un paio assieme, apprendere che era armeno e che faceva l’insegnante di yoga (a quanto pare abitare in East Village e non fare yoga é quasi imperdonabile), e mi sono ritrovato invitato a una lezione di prova, in un imbarazzante tentativo di mantenere la concentrazione mentre in piena posizione del Guerriero rimiravo Manhattan dalla finestra di un loft sulla Madison. E cosí, dalla farmacista che mi ha raccontato pregi e difetti dei geni italiani di suo marito mentre mi spediva a suon di occhiolini dal competitor a comprare gli integratori a prezzo piú basso, al tipo della Security che mi ha impedito di fumare sulla cima dell’Empire scroccandomi la sigaretta, ai vari ed eventuali che ho conosciuto per passaparola (e grazie al presente blog) mi é parso come un po’ di perdere il sentimento della distanza e di perdermi anch’io. Soltanto con quello che ho fatto off-the-record ci potrei scrivere una raccolta di racconti. Magari lo faccio davvero, ma solo per me.

In fondo non ho fatto altro che quello che mi pareva potesse aiutarmi a sentire dal di dentro il vibe della cittá: ho ascoltato la musica che mi suggerivano, ho fatto il disinvolto con accenti a volte quasi incomprensibili, ho fatto lo sborone elargendo mance per non dovermi mostrare troppo inetto nel calcolo di tasse resti e vattelappesca, spesso ho fatto figuracce ma me ne sono fregato. Soprattutto peró ho fatto tantissime domande, a costo di sembrare indiscreto, a gente conosciuta lí per lí, perché volevo capire “qui com’é”. É stato un po’ un concentrato tutta la mia storia di questi ultimi anni: assolutamente niente di eccezionale in senso assoluto ma un insieme di piccoli fatti che erano eccezionali per me. Ho anche scoperto di avere un senso dell’orientamento niente male, e se mi aveste visto, all’uscita della lezione di yoga coi capelli fatti, il caffé in mano, il telefono nell’altra, a rispondere a messaggi e prendere appuntamenti per cena, mentre scivolavo fra poliziotti sovrappeso, taxi e tombini fumanti c’avreste creduto anche voi.

Mi direte: e non c’é qualcosa che non ti é piaciuto? Come no! La metropolitana, che è scomoda, stretta, sudicia, vecchia e lenta e la vocina di quella minchiamorta di Taylor Swift che esce da ogni negozio a tutta canna. Il resto promosso a pieni voti.
Insomma alla fine é andata che sono ripartito da Manhattan sentendomi come dopo una nottata in bianco a festeggiare. Come dopo un giro sulle giostre o una sbronza di 白酒, ma senza l’inevitabile senso di nausea.
A Manhattan c’ho lasciato un pezzo di cuore. Chissá che un giorno, passata la sbornia, non torni a riprendermelo.

DAY FOUR
Downtown
9/11 Memorial
Ferry to Staten Island
Financial District
LES



























DAY FIVE
East Village / Chelsea
Chelsea Market
Grand Central Terminal
Public Library





































DAY SIX
St. Mark’s
Fifth Avenue
St. Patrick
Seagram
MoMa


















DAY SEVEN
Upper East Side
MET
























DAY EIGHT
Saluto a Manhattan da Dumbo
Partenza Per Cherry Hill (NJ)








2 pensieri su “141. YES, I LOVE NEW YORK!

  1. Ciao Martino bellissimo post, io adoro New York, talmente tanto che io e mio marito ci siamo sposati nel 2014 al City Hall..matrimonio lampo con 8 amici al seguito che hanno condiviso con noi questa avventura.Ho una foto bellissima di noi davanti alla scritta LOVE.. io vestita da sposa con scarpe da ginnastica ( idem mio marito!).
    Un abbraccio e grazie per aver portato alla mente tanti bellissimi ricordi.

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